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ToggleI coach stanno spopolando e si stanno “mangiando” la tua professione a grandi e succulenti bocconi. Gli psicologi ne sono in parte complici.
Come libero professionista, se stai a guardare, il rischio è di rimanere schiacciato in questa “guerra”.
Se vuoi capire come riprendere il posto che ti stanno sottraendo, e soprattutto farti scegliere per il tuo valore, senza essere invadente, questo articolo fa per te.
Stai giocando a pallavolo, una partita decisiva, sei al matchpoint e sta a te battere.
Colpisci la palla con forza e la indirizzi verso l’angolo, “È punto…” pensi.
Invece no. Una giocatrice della squadra avversaria prende la palla tra le mani, si avvicina a rete palleggiando come a basket, salta e l’ appoggia nel tuo campo.
Guardi l’arbitro che fa spallucce e assegna il punto alla squadra avversaria.
Ecco, il coaching è così, gioca una partita con regole tutte sue e sta sconfinando sempre di più verso ciò che compete agli psicologi e psicoterapeuti, al momento nessuno può farci niente per davvero.
Questo perché – nonostante sentenze a tuo favore e la chiusura del processo di normazione UNI per counselor e coach – stai “perdendo la battaglia” più importante: quella comunicativa.
Se giochi a pallavolo con loro hai già perso in partenza, non potrai mai vincere, né ora, né mai.
Il rischio concreto che stai correndo come libero professionista è di rimanere schiacciato in questa “guerra” di interessi e di perdere la tua identità, oltre che pazienti e guadagni.
Una panoramica velocissima per capire il contesto di nascita del coaching.
Ricordi il filone New Age di discipline indo orientali che spopolava da noi negli anni ‘90? Le filosofie alla base venivano “ripulite” e riproposte in salsa individualistica del miglioramento di sé.
Il coaching ha la stessa matrice. Deriva da quel movimento nato in California negli anni ‘60 ‘70.
Whitmore, uno dei padri, ha studiato presso l’Esalen Institute Big sure, l’ istituto considerato il nucleo dell’integrazione tra psicologia e spiritualità (istituto anche abbastanza controverso), dove hanno insegnato anche Rogers, Adler e dove ha tenuto seminari Maslow.
Le radici del coaching, semplificando, vengono dall’unione tra la psicologia umanistica e la spiritualità orientale. Nel corso del tempo è stato poi integrato con altre discipline.
La sua forza è quella di aver spogliato il tutto dalla “fatica” del lavoro su di sé per concentrarsi sul miglioramento personale e sulla performance.
Applicato prima allo sport grazie a Gallwey e poi al business grazie a Whitmore – campi per eccellenza della performance – si è poi espanso ad altre aree per assumere le mille facce che ha oggi nel mondo e in Italia, alcune delle quali inquietanti.
Dimmi la verità, quanto ti fa arrabbiare vedere sempre più improvvisati, con un percorso formativo ridotto all’osso, attrarre sempre più persone ignare del pericolo a cui vanno incontro?
A me molto, in primis per la vita delle persone, ma anche per te.
Io non esercito la professione di psicologo, ma conosco i sacrifici che hai dovuto affrontare per arrivare dove sei.
Se confrontiamo i percorsi per diventare psicologo o psicoterapeuta e coach il risultato è sconfortante
La tua professione:
Tappe per poter svolgere l’attività di coach:
Già.
Si insiste sul fatto che siano due professioni con obiettivi differenti, ma qual è la situazione ad oggi? A me pare ci sia ancora un’ intersezione e sovrapposizione che neanche Pinocchio potrebbe negare.
Rimaniamo nell’ambito del corso che ti ho nominato prima. Guarda un po’ “alcuni” riferimenti teorico/scientifici:
Whitmore, uno dei padri del coaching moderno, ha studiato per anni Psicologia Transpersonale.
Gendlin è un filosofo, non ha mai preso un titolo da Psicologo, ma guarda un po’, ha studiato per anni con Carl Rogers.
La scuola di Palo Alto non c’è bisogno di presentarla.
Rogers, Frankl e Adler lo sappiamo.
Locke è uno Psicologo.
Campbell è stato presidente dell’American Psychological Association
Bandler è Psicologo (quello della PNL)
Deci e Ryan, rispettivamente professore di Psicologia e scienze sociali e Psicologo Clinico. Sono tra i ricercatori di Psicologia e scienze sociali più citati al mondo.
Ora, puoi credere a molte cose, possono dire che gli obiettivi delle due professioni sono diversi, che le teorie sono adattate a questi obiettivi, che i coach si autoregolano, etc…ok, ma il debito permane ed è evidente come un corvo nella neve.
Due professioni che hanno così tanti riferimenti teorici in comune – e lavorano entrambe sulle persone – possono essere così distanti e non sfiorarsi nemmeno nella pratica?
Le sentenze giudiziarie dicono di sì, l’ UNI dice di sì, ma è veramente cambiato qualcosa? Vediamolo.
L’ Associazione Coaching Italia a tal proposito oggi dice questo:
Ok, già qui il testo è ambiguo. Non si capisce se qualcuno che è allo stesso tempo coach e psicologo può fare anche lo psicologo durante gli interventi di coaching.
Quello che è scritto nella foto sembra una palese contraddizione di termini. Ma diamogli il beneficio del dubbio, visto che il testo è ambiguo.
Ad ogni modo, io ho fatto l’educatore per anni, sono stato iscritto anche all’Albo mentre lavoravo, posso dire con certezza di non aver mai utilizzato specifiche tecniche da psicologo? Ho sempre cercato di tenere le cose separate ma non è certo così immediato, semplice, scontato.
Sulla pagina continuano in questo modo:
Il coach opera “laddove non vi siano…disagi psicologici (anche lievi)…” .
Come faccia a “intravedere” un disagio psicologico anche lieve vista la grande e presunta differenza tra le due professioni, non è dato saperlo.
E poi ancora
“non contempla attività legate al miglioramento della gestione dello stress…”
Ad esempio, in una situazione di performance sportiva a livelli alti lo stress è elevato. È una questione da gestire anche con tecniche e attività, giusto? Ok, il coach non può farlo.
Come si possa uscire da una situazione stressante senza gestire anche lo stress con tecniche attive, è difficile da immaginare.
Molto spesso, ancora oggi – nonostante sentenze giudiziarie che affermano ben altro – su molti siti di coaching si dice che gli psicologi si occupano di cura, patologia e ristrutturazione della personalità, mentre i coach si occupano di salute e benessere.
Ti copio un estratto a caso da un sito a caso di coach, per farti capire quanto sia diffuso ancora questo messaggio.
A me sembra si voglia nascondere la Luna con un dito e si attacchino continue pezze su una maglia a brandelli.
Chiunque può fare il coach. Chiunque.
All’ingresso ci sono zero barriere, nessun titolo di studio o percorso formativo.
Di fatto, i corsi sono aperti a tutti e attraggono qualunque tipo di persona, con una postilla che ti riguarda.
In generale se ho un titolo, ad esempio una Laurea, è naturale perseguire la carriera che quel titolo può darmi.
Se sono medico difficile voglia iscrivermi a un corso da coach, quindi molte persone con alta formazione si escludono da sé.
Con gli psicologi non accade, si stanno infatti iscrivendo in modo sempre più numeroso a corsi di coaching. Questo la dice lunga su quanta “intersezione” ci sia tra le due professioni, e quanti interessi comuni.
Zero barriere all’ingresso portano a un’ enorme “bolla” formativa.
Questa è la base da cui discende il pericolo che ti riguarda.
Tutti vogliono “mangiare nel piatto” della formazione – anche gli psicologi – tanti soldi e poca spesa (soprattutto con l’online). In pratica la formazione è l’ Eden di tutte le professioni.
Dentro questa bolla troviamo la qualunque. Ti copio un passo di questo articolo su un sito di un coach:
“…Purtroppo, quando una qualsiasi persona si avvicina al mondo del Coaching rimane basita dall’incredibile promiscuità dell’ offerta formativa. C’è chi confonde il Coaching con la PNL, chi con il marketing chi con un facile successo personale.
Insomma, strategie, tattiche varie e “Supercazzole” imperano nel mondo della formazione.
Qualcuno si chiederà: qual è l’obiettivo?
L’obiettivo è raggiungere un risultato commerciale, “riuscire a spillare denaro” è diventato sinonimo di affermazione, notorietà, bravura e riconoscimento.”
Capirai che è una Babele, dove c’è una “zona grigia” dai contorni sfumati che si fa largo e in alcuni casi sta prendendo il sopravvento.
C’è una parte di persone non qualificate che spacciano formazione ad altre persone con una bassa preparazione. Spesso si fa una “velata” leva sul desiderio dei guadagni facili.
Cosa ne può nascere?
Io direi, quando va bene, persone impreparate, dei simil guru con risposte preconfezionate ad ogni problema non in grado di affrontare una professione di questo genere.
Sapere di persone nelle mani di qualcuno che non ha le competenze per aiutarle e che potrebbe fare danni enormi è preoccupante e pericoloso, non credi?
E sembra andare sempre peggio.
Pochi giorni fa ho visto su Facebook un annuncio di un ragazzo che cercava di vendere un corso per superare attacchi di panico e altri disturbi d’ansia. Quali erano le sue qualifiche? Aveva sofferto di attacchi di panico.
Prova a pensare, ti faresti mai operare di appendicite da una persona le cui uniche qualifiche sono essersi sottoposto a un intervento di appendicite? Io no, molte persone invece ci cascano dietro promesse irrealizzabili.
Nel tuo settore questo accade ogni giorno sempre di più. È come una miniera d’oro che hai scoperto tu, ma non c’è nessuna legge che impedisce alla “zona grigia” di sfruttarla al posto tuo.
Ora, sia chiaro, non voglio paragonare i coach a queste persone che compiono abusi di professione palesi, sul filo della truffa e che forse manco lo sanno. Ho usato questo esempio solo per farti capire in che razza di direzione stiamo andando.
In pratica, quello che sta accadendo è questo:
I coach lo fanno per avere un “lasciapassare” verso la credibilità e il riconoscimento professionale.
Gli psicologi perché vogliono mangiare nel piatto della formazione e integrare gli aspetti più attraenti del coaching.
Capirai che è come far volare 3 aquiloni vicinissimi, prima o poi i fili si ingarbugliano e gli aquiloni si scontrano.
Questo per te è più che pericoloso perché da un lato rischi di essere accomunato alla “zona grigia” e dall’altro di perdere specificità della tua professione dissolvendoti nel calderone del coaching.
La direzione a me pare sia questa e mi pare che la portata del cambiamento non sia chiara agli psicologi e agli psicoterapeuti.
È importante capire che in questa storia non c’è un bene e un male, ma una guerra di interessi tra tutte le parti (zona grigia, coach e psicologi).
Chi ci rimette non sono i coach, non sono gli enti formativi per psicologi, non è la “zona grigia”, ma sei tu, l’ultima ruota del carro.
Ma prima di parlartene voglio completare il quadro.
Ciò che abbiamo visto finora lo devi sommare anche a un altro aspetto che va a rafforzare quanto sostenuto:
il coach è perfetto per quest’ epoca di individualismo sfrenato, di performance oltre ogni limite, dell’ormai ubiquo “se voglio posso”.
In un mondo in cui l’affermazione di sé diventa metro di misura di ogni cosa, a discapito di regole e contesti, capirai perché questo tipo di professione spopola.
Il coach infatti è un facilitatore di questi processi:
Parafrasando Al Pacino ne “L’Avvocato del Diavolo”:
“E chi, sano di mente, potrà mai negare che il XXI secolo è stato interamente mio?”
Il coaching è allettante, non si può negare. Lo è anche e soprattutto per gli psicologi.
Come abbiamo visto, da una parte il coaching sta cercando di “dialogare” con gli psicologi e dall’altro gli enti formativi per psicologi stanno cercando di “prendersi” gli aspetti più attraenti del coaching.
Tutti i pesci più “grossi” del tuo mondo formativo, stanno cercando di integrare corsi di coaching.
C’è qualcuno molto “in vista” (di cui non farò il nome, ma penso tu possa capire chi sia) che non a caso ora sta spingendo tantissimo (anche per altri motivi, diciamo “famigliari”) sul coaching, per cercare di “inglobarlo” nella sua offerta.
È una partita a scacchi in cui la “zona grigia” sguazza e prospera in modo indisturbato.
Però c’è un problema, e non mi pare che gli psicologi e l’Ordine se ne stiano rendendo conto.
Il coaching, questa “guerra”, la sta vincendo su tutti i fronti, anche se ha perso battaglie legali e professionali.
Di fatto, chi sta facendo “accordi” sta consegnando le chiavi di casa tua ai coach pensando invece di poterli sfruttare.
Tu, come “piccolo” libero professionista, rischi di farti “risucchiare” in questo buco nero e scomparire per sempre.
Perché i coach vincono nonostante tutto? Ahimè, perché i coach sanno comunicare molto meglio di psicologi e psicoterapeuti.
Negli Stati Uniti qualunque professione non può prescindere dal marketing.
Il coaching, come abbiamo visto, è di stampo anglosassone. In quel contesto i confini con la Psicologia sono più sfumati, e in particolare, il pragmatismo degli americani la fa da padrone, si sanno “vendere” e fa parte della loro storia.
Quindi il marketing, per i coach, non è una “cosa in più” come per molti psicologi.
Sottovalutare questo aspetto significa non aver compreso che alle persone non importa quanto tu sia bravo, quanto tu sia formato, se i coach sono autorizzati o meno ad utilizzare tecniche e interventi specifici della psicologia o psicoterapia, se hai vinto battaglie legali etc…
Significa non comprendere che alle persone interessa solo che problema gli risolvi e in quanto tempo.
Quello che importa alle persone è la promessa trasformazionale che gli fai.
In questo non c’è paragone tra la comunicazione degli psicologi e quella dei coach.
Il desiderio su cui fa leva il coaching è quello del “se vuoi puoi” ottenuto in poco tempo o comunque in un tempo definito. Ciò che ti vendono è tutta “azione proiettata verso il futuro”:
Tutto basato sul messaggio che “hai delle grandi capacità, devono solo essere viste e sfruttate” e sulla la promessa sottesa del “io riuscirò a vederle per te”, che nella distorsione può diventare “gli altri non capiscono quanto vali, ora glielo faremo vedere!”.
Che è poi il succo di ogni performance: essere riconosciuto dagli altri come il migliore.
Siamo ben lontani dal tipo di comunicazione della psicologia e della psicoterapia. La percezione – accompagnata da pregiudizi e stereotipi- infatti è più o meno questa (semplificando, chiaro):
Purtroppo, come vedi, c’è un abisso comunicativo che si traduce a favore dei coach in più clienti, più guadagni e in una percezione di efficacia maggiore.
Tu questo gap non lo puoi colmare, sono troppo più avanti di te.
In un ambito:
hai già perso.
“Quindi cosa posso fare?”
Una possibilità c’è.
Non è la panacea di tutti i mali perché abbiamo visto che il problema è complesso e va affrontato su più fronti.
A livello individuale è però ciò che potrebbe portarti più vantaggi in termini professionali.
Come avrai capito, tu non non puoi condividere lo stesso campo da gioco dei coach.
La tua è una professione sanitaria regolata in modo ben preciso. Se ti vuoi promuovere non puoi certo metterti a fare sconticini, super offerte e manipolazioni di alcun tipo.
Per intenderci, non puoi fare così:
Allo stesso tempo non puoi ormai esimerti dal promuoverti.
Non hai molte strade se vuoi distinguerti, comunicare la tua unicità ed iniziare ad avere più pazienti e guadagnare di più.
Certo, puoi anche decidere di non fare niente, pena rimanere schiacciato in questa “guerra”, l’anonimato e la dipendenza dal passaparola casuale.
Ha senso non far niente in un contesto come quello che abbiamo cercato di delineare? Io non credo, ma non sono te.
“E allora come faccio a farmi conoscere?”
L’unica vera leva che puoi utilizzare è ricercare la tua unicità e comunicarla attraverso contenuti di alto valore che educano, formano e informano.
Costruire una relazione di fiducia basata sull’etica con i tuoi potenziali pazienti/clienti.
L’obiettivo è aumentare la tua autorevolezza e il valore della tua professione. Di conseguenza aumenteranno anche i tuoi clienti/pazienti, guadagni e opportunità in modo duraturo.
Immagina di riuscire a comunicare accoglienza e a instaurare un rapporto di fiducia basato sull’autorevolezza. Dare una risposta alle domande e ai problemi che stanno a cuore a una persona e diventare una certezza per lui.
Non si tratta solo di guadagnare soldi (quello è uno degli effetti), ma ciò che offrirai alle persone attraverso i tuoi contenuti integra e aumenta il valore della tua professione portandola su di un altro livello. In un altro campo da gioco.
Lascia perdere i coach, falli pur competere tra di loro nell’ escalation per il risultato più eclatante che possono portare.
Falli scontrare con i colossi formativi della psicologia.
Allontanati anni luce dalla “zona grigia”.
Congedati da questa “guerra” e obietta.
Inizia a costruire il tuo stile unico di comunicazione.
Se sei presente nel modo giusto le persone ti cercheranno.
Puoi farlo già da oggi.
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A presto
Alex De Brasi
Alex De Brasi
Consulente marketing, Copywriter, Psicologo, Improvvisatore teatrale, papà, zio (per gli amanti dei giochi, una di queste affermazioni è falsa, la risposta è nella sezione “Mi presento” del mio sito)
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